Aborto: perché i Vescovi tacciono?

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Sentiamo spesso in questi giorni richiami all’articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Il diritto alla salute presuppone ovviamente il diritto alla vita. Il diritto alla vita e alla salute è certamente un bene primario, che prevale sui beni economici. Sotto questo aspetto la tutela delle attività economiche di un Paese è importante, perché da questa dipende anche la vita e la salute della popolazione, ma è tuttavia un bene subordinato a quello della vita e della salute, perché non può esercitare attività economiche chi è morto o malato.

Entrambi i beni, quello della salute e quello del benessere economico, sono però di ordine materiale e sottomessi a loro volta ad un bene superiore che li trascende, che è il bene dell’anima di ogni individuo e il bene comune spirituale di un popolo. La salvezza dell’anima è più importante della salvezza del corpo e non c’è bene materiale su questa terra, per quanto rilevante, che possa essere eguagliato al pur minimo grado di bene spirituale.

I Pastori della Chiesa dovrebbero ricordarcelo ogni giorno, ma tacciono su questo punto. La recente enciclica di papa Francesco Fratelli tutti sarebbe stata una straordinaria occasione per ricordarlo, ma purtroppo in questo documento la dimensione orizzontale della fraternità prevale su quella verticale del rapporto dell’uomo con Dio. Eppure un altro documento vaticano apparso il 22 settembre, la lettera Samaritanus bonus della Congregazione per la Dottrina della Fede, ci ha ricordato che esistono assoluti morali, che esistono atti intrinsecamente cattivi, l’aborto e l’eutanasia sono una violazione della legge naturale, un crimine contro la vita e un attentato all’umanità. Si tratta, scrive la Samaritanus bonus in nota 38, di «una dottrina proposta in modo definitivo nella quale la Chiesa impegna la sua infallibilità».

Si legge ancora nel documento: «L’eutanasia è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale. Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell’omicidio» (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Evangelium vitae del 25 marzo 1995, n. 65). Qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave contro la vita umana: «Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di una offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Iura et bona del 5 maggio 1980).

Dunque, l’eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva. Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo, perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2286).

Ma allora perché questi sacrosanti princìpi, che si estendono anche all’aborto, non vengono applicati alla realtà di oggi da parte della Conferenza Episcopale e dei vescovi italiani, la cui voce si è espressa in maniera flebile, per non dire inesistente a proposito di due gravissime iniziative del ministro della Salute Roberto Speranza? Mi riferisco a due atti recenti che non bisogna confondere, ma di cui la massima responsabilità va al ministro stesso, uno di quelli che più spesso si richiamano alla tutela costituzionale della salute.

Il primo atto risale al mese di agosto, quando le nuove linee guida del Ministero della Sanità hanno stabilito che la pillola abortiva RU486 può essere assunta fino alla nona settimana di gestazione, senza obbligo di ricovero ospedaliero. Il ministro Speranza ha detto che «è un passo avanti importante nel pieno rispetto della 194, che è e resta una legge di civiltà del nostro Paese». Il ministro ha scritto queste parole in un post su Facebook, dove ha linkato anche un articolo di Repubblica dal titolo Aborto, cade l’ultimo no. Il ministro Speranza cambia la direttiva: la pillola RU486 potrà essere utilizzata senza ricovero.

Il secondo atto, stabilito dall’Agenzia Italiana del Farmaco con la Determina n. 998 dello scorso 8 ottobre, prevede che non sarà più necessario l’obbligo della ricetta medica per dispensare anche alle minorenni la pillola EllaOne, detta la pillola dei cinque giorni dopo, perché può essere assunta fino a 120 ore (5 giorni) dopo il rapporto sessuale contro le 72 ore (3 giorni) delle cosiddette “pillole del giorno dopo”, come la Norlevo. Nei mass media Norlevo ed EllaOne, rispettivamente pillola del giorno dopo e pillola dei cinque giorni dopo, sono definite “metodi di contraccezione di emergenza” e non pillole abortive, per il fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è arrogata di modificare l’inizio della vita biologica, affermando che essa non comincia con la fecondazione, ma con quello dell’impianto della cellula fecondata nell’utero, che avviene qualche giorno dopo. In realtà la vita umana inizia con il concepimento e qualsiasi atto che interviene dopo l’avvenuta fecondazione è un atto abortivo, perché sopprime non un grumo di cellule, ma un embrione umano nel suo primo stadio. La Norlevo e la EllaOne sono dunque pillole abortive come la RU486 e il loro uso viola gravemente la legge morale, perché porta all’omicidio di un essere umano innocente. Presentare l’aborto come contraccezione è un diabolico inganno che porterà molte donne ad usare i farmaci antiabortivi, senza rendersi conto di praticare con essi un omicidio.

Il ministro Speranza rende l’aborto più facile, lo estende alle minorenni, lo sottrae al giudizio morale, privatizzandolo e lasciandolo alla coscienza fragile di chi non ha ancora chiara la percezione del male, anche perché né la famiglia, né la scuola, offrono più indicazioni morali chiare a questo proposito. La responsabilità primaria di questa tragica situazione è in primo luogo delle autorità, sia ecclesiastiche che politiche: le prime dovrebbero intervenire in campo morale, le seconde in campo legislativo, per arginare l’omicidio di massa e tutelare la salute, senza richiamarsi ipocritamente all’art. 32 della Costituzione, per combattere quel Coronavirus, il virus comunista cinese, che appare sempre di più come un castigo inflitto dalla Divina Provvidenza.

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