E’ triste vedere un uomo che invecchia perseverando negli errori. E’ questo il caso di Pier Giorgio Liverani, direttore (1981-1983) e poi inviato speciale del quotidiano della CEI Avvenire, e uno dei fondatori del Movimento per la Vita, nato all’indomani dell’approvazione della sciagurata legge 194 che introduceva in Italia l’aborto.
Nel 1981, il Movimento per la Vita promosse un referendum di abrogazione parziale della legge 194 che, in caso di approvazione, avrebbe introdotto: la legalizzazione dell’aborto terapeutico per tutti i nove mesi della gravidanza; il finanziamento pubblico per l’esecuzione legale degli aborti; l’obbligo per gli enti ospedalieri di eseguire in ogni caso gli aborti richiesti; la distribuzione gratuita, da parte dei consultori, di contraccettivi tra i quali abortivi precoci alle minorenni. Fu l’inizio della strategia del “male minore” che, di cedimento in cedimento, ha portato al suicidio del Movimento per la Vita e soprattutto al disastro morale attuale. «In base a questa strategia – scriveva Mario Palmaro su La Nuova Bussola quotidiana del 1° maggio 2013 – i cattolici in politica – e gli organi di informazione e formazione che li spalleggiano – non devono più “limitarsi” (sic) ad affermare i principi non negoziabili opponendosi alle iniziative legislative che li negano, ma devono assumere l’iniziativa legislativa promuovendo leggi che affermano quei principi solo in parte, ma che impediscono l’approvazione di leggi peggiori».
La tesi del male minore è la medesima che portò il cardinale Elio Sgreccia (1928-2019) ad accettare il grande pateracchio della legge 40 del 19 febbraio 2004 sulla cosiddetta “procreazione assistita”, che rifiuta la fecondazione artificiale (FIVET) eterologa, ma ammette quella “omologa”.
La prof.ssa Marisa Orecchia, figura di spicco del movimento pro-life italiano, su Corrispondenza Romana n. 1597 del 3 luglio 2019, ha così commentato la posizione del cardinale Sgreccia: «Era una scelta opportunistica fatta in nome di certo realismo politico consapevole che la linea del no a tutto campo alla Fivet non sarebbe passata, ma era una scelta che, rinunciando a mettere in discussione la fecondazione extracorporea in sé, rinunciava anche a tutelare la vita di tutti quegli embrioni che la Fivet, quale tecnica in sé, manda a morte in una strage di cui oggi, a quindici anni di distanza, possiamo contare le cifre catastrofiche.
Ma la rinuncia ancora più grave, se possibile, fu quella a dire la verità per intero: se infatti tale proposta aveva l’imprimatur cattolico tramite l’avallo di un Principe della Chiesa e la condivisione incondizionata di tutto il mondo cattolico, CEI e Avvenire in testa, doveva essere buona, né poteva essere discussa né tanto meno disapprovata. Censura e ostracismo colpirono quanti, soprattutto all’interno del Movimento per la vita, non si rassegnarono a subire tale linea e tentarono di bucare il silenzio mediatico con le ragioni del diritto naturale e del bene della società intera».
Irritato da quest’articolo, Pier Giorgio Liverani è voluto intervenire difendendo la scelta di Sgreccia, in una lettera al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, pubblicata l’11 luglio dal giornale dei vescovi. Liverani scrive che «se è possibile un anche parziale miglioramento di una situazione ingiusta, allora è doveroso perseguirlo per salvare più vittime possibili». E, come giustificazione, cita un passaggio dell’Evangelium Vitae in cui è detto che « potrebbe essere lecito offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge (abortista) diminuendone gli effetti negativi» (§ 73).
Dispiace che Liverani, voglia mettere un Papa canonizzato dalla Chiesa in contraddizione con il Magistero morale della stessa Chiesa, che insegna che non si può mai fare il male per ottenere un bene. Il passo della Evangelium Vitae va letto inoltre alla luce dell’insegnamento dello stesso Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor. Infatti, come osservava l’avv. Caudio Vitelli in due articoli fondamentali su questo tema apparsi, sulla rivista Lepanto n. 162 (dicembre 2002) e 163 (giugno 2003), la tesi della “riduzione del danno” commette l’errore di basarsi, non sulla oggettiva bontà del fine voluto, ma sul calcolo dei risultati previsti, cadendo nell’errore del proporzionalismo, condannato da Giovanni Paolo II con queste parole: «La ponderazione dei beni e dei mali, prevedibili in conseguenza di un’azione, non è un metodo adeguato per determinare se la scelta di quel comportamento concreto sia in se stessa buona o cattiva, lecita o illecita» (Veritatis Splendor, §§ 65, 74 e 77).
Il retto criterio del giudizio morale è quello assoluto-oggettivo, che valuta un atto come “buono” o “cattivo” secondo che rispetti o violi la Legge naturale e divina, considerandolo innanzitutto in sé e per sé, ossia nell’oggetto, nelle circostanze e nelle conseguenze sue proprie. Invece il criterio proporzionalista è relativistico, perché valuta un atto come “migliore” o “peggiore” secondo che migliori o peggiori una situazione data. Si può dunque tollerare un male, rinunciando a reprimerlo; si può perfino regolare un male, nel senso di ridurne la libertà e il campo di azione; ma non si può permettere o regolare un male autorizzandolo, perché questo significherebbe approvarlo rendendosene complici (cfr. Ramòn Garcìa de Haro, La vita cristiana, Ares, Milano 1995, pp. 382-383).
Per essere moralmente valida, e dunque proponibile da un parlamentare cattolico, una legge deve avere una sua propria integritas: dev’essere cioè totalmente giusta, almeno nel senso che nessuna delle sue disposizioni contraddica formalmente la Legge naturale e divina. Ma se una legge contiene anche una sola disposizione intrinsecamente e oggettivamente immorale, essa manca dell’adeguato bene dovuto; è una “non-legge” in quanto contrasta con la Legge divina e col bene comune; approvarla è quindi illecito. «Se una legge è in qualche cosa in contrasto con la Legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge», afferma san Tommaso d’Aquino (Summa theologiae, I-II, q. 95, a. 2).
Ribadiamo che, secondo l’insegnamento costante della Chiesa, si può talvolta tollerare il male commesso da altri, ma non è mai lecito compiere positivamente il male, neanche per evitare un male maggiore. Se si accetta questo principio, la morale cattolica crolla. Dunque chiunque approvi, con la parola o con l’azione, una legge contraria alla morale cattolica, si assume una grave responsabilità personale, rendendosi complice delle inique conseguenze della legge che egli ha favorito.
Un’ultima considerazione. Sia Liverani che Tarquinio, nel loro botta e risposta su Avvenire, non risparmiano giudizi falsi e sprezzanti nei confronti di Corrispondenza Romana. Liverani, definisce Corrispondenza romana: «organo di autoproclamati cattolici tradizionalisti guidati dallo storico Roberto De Mattei, che sugli schermi della rete internet non lesina attacchi alla Chiesa e a uomini e donne di Chiesa». Si tratta di una grave calunnia. Liverani sembra conoscere la distinzione fondamentale tra la Chiesa e gli uomini di Chiesa. Ora, se è vero che Corrispondenza Romana non lesina critiche a uomini di Chiesa, lo sfidiamo a citare un solo caso di critica a quella Chiesa che abbiamo sempre difeso invece con tutta l’anima e il cuore, nella convinzione che non possa esserci salvezza al di fuori di Essa. Corrispondenza Romana è nata per servire la Chiesa, ed è proprio per amore alla dottrina della Chiesa che ci permettiamo di criticare un uomo di Chiesa come Sua Eminenza il cardinale Elio Sgreccia.