Dopo la vittoria di Trump. Papa Bergoglio leader della sinistra internazionale?

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papa-trump9-jpg_1762201537-440x278(Roberto de Mattei su Il Tempo del 11/11/2016) Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ha inviato a Donald Trump gli auguri della Santa Sede, esprimendo il suo auspicio che il nuovo presidente lavori al servizio della patria e della pace del mondo. Anche mons. Joseph Kurtz, arcivescovo di Louisville e presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, si è congratulato con il neo-eletto, sollecitandolo a governare per il bene comune di tutti i cittadini. La posizione della diplomazia vaticana sembra voler correggere, o temperare, quella di papa Francesco, che non ha mai nascosto la sua insofferenza verso il candidato alla presidenza americana.

Il 18 febbraio di quest’anno, sul volo di ritorno dal Messico, commentando il progetto di Trump di costruire un muro tra Stati Uniti e Messico per frenare il flusso migratorio, il Papa aveva detto che “una persona che pensa soltanto a fare muri e a non fare ponti non è cristiana”. In un altro volo di ritorno, quello del 2 ottobre da Baku a Roma, a chi gli chiedeva quale candidato preferisse per le elezioni americane, Francesco non si è sbilanciato. Eppure, per quanto forti possano essere le riserve verso Trump, per un cattolico sarebbe difficile immaginare una posizione di equidistanza tra lui e Hilary Clinton, che aveva inserito ufficialmente nel suo programma una massiccia implementazione dell’aborto e dell’agenda LGBT.  A meno di considerare  l’autodifesa dall’invasione migratoria come un peccato più grave della legalizzazione dell’aborto e del cosiddetto matrimonio omosessuale.

Al di là del giudizio morale su tali questioni, il problema di fondo che divide il Vaticano dalla nuova presidenza americana è di ordine politico. Il tema dell’immigrazione è infatti, fin dall’inizio del pontificato, l’asse portante della politica bergogliana, ma costituisce anche un cardine del programma di Donald Trump. Su questo punto le visioni di Francesco e del presidente degli Stati Uniti sono opposte. “Una nazione senza confini non è una nazione, così come non è una nazione un paese senza leggi” afferma Trump, mentre per papa Bergoglio, l’illimitata accoglienza agli immigrati è quasi un “locus” teologico.

Se Trump andrà avanti per la sua strada non porrà solo un freno al multiculturalismo imperante nel suo Paese dal’epoca kennedyana, ma darà anche un inevitabile impulso a quei partiti di destra e “identitari” che nelle prossime settimane e mesi andranno al voto in Austria, Olanda, Francia e Germania. Da parte sua,  dopo la disfatta della Clinton, Francesco è rimasto l’unico punto di riferimento della sinistra internazionale, priva di leader. Quando, il 5 novembre si è concluso in Vaticano il Terzo Incontro mondiale dei cosiddetti “Movimenti popolari”, alla presenza di agitatori rivoluzionari dei cinque continenti. Papa Francesco si è rivolto loro dicendo “Faccio mio il vostro grido”. Ma il grido di protesta  che si leva dai movimenti convenuti nella sala delle udienze Paolo VI, è purtroppo caratterizzato dal fanatismo ideologico e dalla incitazione alla violenza.

La linea di tendenza è chiara. Nel suo ultimo viaggio in Sud America, Francesco ha espresso la sua simpatia per i presidenti di Bolivia ed Ecuador e il 24 ottobre ha ricevuto in udienza privata in Vaticano il presidente venezuelano Nicolas Maduro Moros, anch’egli di estrema sinistra, a cui ha assicurato il suo sostegno. Nessuna parola di approvazione e compiacimento è invece giunta dal Vaticano per lo straordinario gesto del presidente del Perù Pedro Pablo Kuczynsky che, il 21 ottobre, davanti ai membri di Camera e Senato, ha consacrato il suo paese al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.

Quanto opportuno sarebbe che, abbandonando la politica, il Papa e i vescovi del mondo unissero i loro sforzi per  atti religiosi di questo genere, a cominciare dalla tanto attesa consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria, in occasione del centenario di Fatima del 2017, che coincide con quello, funesto, della Rivoluzione bolscevica di Ottobre. (Roberto de Mattei, Il Tempo, 11/11/2016)

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