Francesco, la guerra e i Luoghi santi

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C’era una grande attesa per il Sinodo che si è aperto in Vaticano il 4 ottobre 2023, ma tre giorni dopo, il 7 ottobre, l’attenzione internazionale si è spostata sul Medio Oriente improvvisamente insanguinato dal brutale attacco di Hamas ad Israele. Questo evento, seguito all’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022, ha costituito un nuovo fattore di sconvolgimento del fragile equilibrio mondiale, confermando l’esistenza di una guerra all’Occidente, che in questo momento ha il suo epicentro in Palestina, la terra dove visse e versò il suo sangue il Redentore dell’umanità.

Papa Francesco è intervenuto più volte per deplorare la guerra, chiedere la liberazione degli ostaggi scongiurare l’escalation del conflitto. Ma è tutto quello che ci si poteva aspettare dal Vicario di Cristo?

Francesco avrebbe avuto una straordinaria occasione per fare udire ai potenti della terra la sua voce unita a quella dei Padri sinodali riuniti in assemblea a Roma. Quale occasione migliore per ricordare solennemente che la ragione delle guerre, come quella di tutti i mali, sta nell’accumularsi dei peccati pubblici degli uomini; che le guerre in corso sono un castigo per l’allontanamento del mondo da Dio e che l’unica via per ottenere la pace è il rispetto della legge naturale e la conversione al Vangelo? Ma il Vicario di Cristo dovrebbe anche ricordare che la Palestina è la terra che fu santificata dalla vita e dalla morte del Salvatore e chiedere la tutela di Gerusalemme e di quei Luoghi santi che, con la città di Roma, sede della Cattedra di Pietro, rappresentano il cuore del mondo.

La Chiesa ha sempre rivendicato il diritto di proprietà o di custodia sui Luoghi santi, oggetto di venerazione e méta di pellegrinaggi fin dall’antichità cristiana. Il culto dei Santuari cristiani della Palestina cominciò con Costantino che, dopo il Concilio di Nicea del 325, diede ordine ad alcuni vescovi presenti di andare a Gerusalemme per identificare i luoghi della Passione e Risurrezione di Gesù Cristo e costruirvi delle chiese. Sant’Elena, madre di Costantino, collaborò con loro nella ricerca delle preziose reliquie. Sorsero cinque basiliche: la prima sul luogo del Santo Sepolcro; una seconda a Betlemme sulla Grotta della Natività; una terza sul Monte degli Ulivi, dove avvenne l’Ascensione di Nostro Signore; una quarta nel giardino de Getsemani ed un’ultima a Nazareth. Dobbiamo a san Girolamo e al suo gruppo di Patrizie romane, stabilitesi a Betlemme verso la fine del IV secolo, i primi ospizi e ricoveri per pellegrini. Iniziò così un movimento di pellegrinaggio interrotto dalla dominazione musulmana della Palestina che durò, con fasi alterne, fino al 1917.

Quando, nel 1071, i Turchi selgiuchidi conquistarono Gerusalemme, iniziò un periodo di persecuzioni contro i cristiani che suscitò l’indignazione della Cristianità e nacque il grande movimento delle crociate, con l’intenzione di liberare il Santo Sepolcro. Dopo la fine di questa epopea, si deve ai religiosi francescani la difesa e il culto dei Santuari cristiani, conservati nel corso dei secoli attraverso innumerevoli vicissitudini. La missione dei Frati minori in Terra Santa fu regolarizzata sia con le due bolle Gratias agimus e Nuper carissimae di Clemente VI (1342), sia con il patto tra il re di Napoli e il sultano d’Egitto Qalāwūn. I diritti dei cattolici furono confermati e ampliati per tre secoli da tutti i sultani d’Egitto, interessati alle relazioni commerciali con l’Europa, fino a quando la Palestina fu occupata dai Turchi ottomani che ripresero le vessazioni. Nello stesso periodo si insediarono a Gerusalemme i monaci greco-ortodossi. Cominciò allora tra il clero cattolico e gli scismatici orientali una lunga e tenace contesa, aggravata nei secoli successivi dalle pretese della Russia, che accampò diritti di protezione della religione ortodossa in tutto il Levante.

Nel 1847, papa Pio IX con il breve Nulla celebrior restaurò il Patriarcato latino di Gerusalemme, vacante dal tempo delle Crociate. L’11 dicembre 1917, mentre l’Impero Ottomano si sgretolava, il generale inglese Edmund Allenby liberò Gerusalemme dal plurisecolare dominio dell’Islam. Per rispetto verso la Città Santa, Allenby e i suoi ufficiali smontarono da cavallo ed entrarono a piedi per la porta di Giaffa, accompagnati dai rappresentanti militari di Italia, Francia e Inghilterra. La cristianità esultò, ma le speranze di una piena liberazione della Terra Santa andarono presto deluse.

Negli anni in cui nasceva lo Stato di Israele e in Palestina divampava la guerra tra ebrei ed arabi, papa Pio XII dedicò ai Luoghi santi tre  encicliche: la Auspicia quaedam del 1° maggio 1948, la In multiplicibus  del 24 ottobre 1948 e la Redemptoris nostri del 15 aprile 1949.

Nella prima enciclica il Papa ricordava che un particolare motivo, affliggeva e angustiava vivamente il suo cuore: «Intendiamo riferirci ai luoghi santi della Palestina, che già da lungo tempo sono turbati da luttuosi avvenimenti e sono quasi ogni giorno devastati da nuovi eccidi e rovine. Eppure se vi è una regione al mondo, che deve essere particolarmente cara ad ogni animo degno e civile, questa è di certo la Palestina, da cui fino dagli oscuri primordi della storia è sorta per tutte le genti tanta luce di verità; in cui il Verbo di Dio incarnato fece annunziare da cori di angeli la pace a tutti gli uomini di buona volontà, e nella quale infine Gesù Cristo, sospeso all’albero della croce, recò la salvezza a tutto il genere umano e, stendendo le braccia quasi a invitare tutti i popoli ad un amplesso fraterno, consacrò con l’effusione del suo sangue il grande precetto della carità».

Nella seconda enciclica In multiplicibus affermava: «l’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai luoghi santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose».

Nella terza enciclica Pio XII rinnovava l’invito ai «governanti e tutti coloro ai quali spetta la decisione di così importante problema a dare alla Città santa e ai suoi dintorni una conveniente situazione giuridica, la cui stabilità, nelle presenti circostanze, può essere assicurata e garantita soltanto da una comune intesa delle nazioni amanti della pace e rispettose dei diritti altrui. Ma è inoltre necessario provvedere alla tutela di tutti i luoghi santi, che si trovano non solo in Gerusalemme e nelle sue vicinanze, ma anche in altre città e villaggi della Palestina. Poiché non pochi di essi, in seguito alle vicende della recente guerra, sono stati esposti a gravi pericoli e hanno subìto danni notevoli, è necessario che quei luoghi, depositari di così grandi e venerabili memorie, fonte e nutrimento di pietà per ogni cristiano, siano convenientemente protetti da uno statuto giuridico, garantito da una forma di accordo o di impegno internazionale».

I piani di protezione internazionale di Gerusalemme e dei Luoghi Santi non si sono mai realizzati, e il flusso dei pellegrinaggi è continuato in un contesto di conflitto latente. Oggi la guerra è esplosa nella terra in cui nacque e morì Colui che dai profeti fu annunziato come «il Principe della pace» (Is 9, 6) e minaccia di estendersi a Oriente e a Occidente. Ma se Cristo non viene annunciato da chi lo dovrebbe rappresentare, chiamando l’umanità alla conversione, come meravigliarsi se il mondo rischia una guerra peggiore di tutte quelle che l’hanno preceduta?

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