Il 15 dicembre 2019 ha reso la sua anima a Dio a Montauban lo storico francese Jean de Viguerie. Due settimane dopo, il 30 dicembre è ricorso il trentesimo anniversario della morte del filosofo italiano Augusto Del Noce. Cosa avevano in comune queste due personalità della cultura cattolica del Novecento?
Jean de Viguerie, nato a Roma nel 1935, percorse una brillante carriera accademica divenendo professore emerito dell’Università di Lille-III, senza mai venire a compromessi con la cultura imperante. «La fede irrorava tutta la vita di Jean de Viguerie e alimentava la sua vita di professore» ha scritto un suo allievo, Philippe Pichot Bravard. Viguerie fu un conoscitore profondo e scrupoloso del XVIII secolo. La sua opera fondamentale è, a mio parere, Christianisme et Révolution. Cinq leçons d’Histoire de la Révolution française (Nouvelles Editions Latines, 1986). La lettura di questo libro, accanto a La Révolution française di Pierre Gaxotte (edizione a cura di Jean Tulard, Complexe, 1988) ci offre un quadro sintetico, ma illuminante di quanto accadde in Francia tra il 1789 e il 1795. L’opera più originale di Viguerie è però Les deux patries. Essai historique sur l’idée de patrie en France (Dominique Martin Morin, 1998). Lo storico francese dimostra come al concetto tradizionale di “Patria”, radicata in un luogo concreto e in una precisa memoria storica, se ne sovrappone, nel XVIII secolo, uno nuovo: la patria astratta dei diritti dell’uomo proclamata dagli illuministi e dalla Rivoluzione francese. Fu in nome di questa ideologia che la Francia scese in campo nella Prima Guerra mondiale. L’Union Sacrée del 1914, tra nazionalisti di sinistra e di destra, fu una continuazione dell’appello alle armi lanciato nel 1792, quando l’Assemblea Nazionale dichiarò “la Patria in pericolo”. È con la Rivoluzione Francese che nasce la parola d’ordine di “annientare il nemico”, interno ed esterno, come avvenne con le “colonne infernali” che tra il 1793 e il 1794 sterminarono gli insorti della Vandea. Il conflitto mondiale costò alla Francia un milione e trecentomila morti. La sola offensiva del 16 aprile 1917, tra Soissons e Compiègne, ricorda Viguerie, contò centodiciassette mila morti per guadagnare cinque chilometri; trecentosessantamila furono le vittime nella prima battaglia offensiva di Verdun dell’ottobre 1916. Queste vittime furono offerte al Moloch rivoluzionario come prezzo da pagare per la distruzione dell’Impero austro-ungarico, ultimo baluardo cattolico contro l’opera di distruzione politica e culturale della Rivoluzione francese.
Viguerie fu biografo di Luigi XVI e di sua sorella Elisabetta di Francia, a cui ha dedicato lo studio Le sacrifice du soir (Cerf, 2010), che certamente gioverà alla causa di beatificazione della principessa francese, ed è autore di molte altre opere, alcune autobiografiche, come l’Itinéraire d’un historien (Dominique Martin Morin, 2000) e Le passé ne meurt pas (Via Romana, 2016), ricco di episodi e di aneddoti che ci aiutano a comprendere non solo la sua vita privata, ma la Francia del Novecento.
Augusto Del Noce, di famiglia piemontese, nacque a Pistoia nel 1910, ma fece i suoi studi nella Torino del primo dopoguerra del Novecento. La sua produzione intellettuale può essere intesa come specularmente opposta a quel filone di pensiero progressista che si sviluppò nella stessa città di Torino e che ha avuto tra i suoi esponenti più conosciuti Norberto Bobbio ed Umberto Eco. Quando scoppiò la Rivoluzione del 1968 Augusto Del Noce, professore all’Università di Trieste, aveva al suo attivo opere imponenti di storia della filosofia, come i volumi Il problema dell’ateismo (Il Mulino, 1964) e Riforma cattolica e filosofia moderna (Il Mulino, 1965), ma la sua attenzione di filosofo si spostò da allora alla comprensione filosofica dell’epoca contemporanea. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta apparvero Il problema politico dei cattolici (Unione Italiana per il Progresso della Cultura, 1967), L’epoca della secolarizzazione (Giuffrè, 1970) e Tramonto o eclissi dei valori tradizionali (Rusconi, 1972) Il suicidio della Rivoluzione (Rusconi, 1978) e, postumo, Giovanni Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea (Il Mulino, 1990). Del Noce mostra in questi libri la continuità culturale che esiste tra i diversi regimi politici che si sono succeduti in Italia nello spazio di un secolo: liberalismo, fascismo e antifascismo. Il pensiero di Francesco de Sanctis, ministro della cultura dell’Italia risorgimentale, di Giovanni Gentile, ministro della cultura e ideologo del fascismo e di Antonio Gramsci, principale teorico dell’antifascismo nella democrazia italiana del secondo dopoguerra, si alimenta all’immanentismo di Hegel e segue un percorso di progressivo abbandono dei valori tradizionali. L’epoca della Rivoluzione è per Del Noce l’epoca della negazione di questi valori in nome della secolarizzazione presentata come un processo storico positivo e necessario. Del Noce individuava il male della cultura italiana contemporanea nella categoria del “progressismo”, una visione della storia fondata sull’idea per cui il fascismo, e non il comunismo, avrebbe rappresentato il male radicale del secolo. Ciò comportava come conseguenza la necessità del tramonto, con il fascismo, di ogni ideale che ad esso potesse essere in qualche modo rapportato, a cominciare dai valori tradizionali su cui per secoli si era fondata la civiltà cristiana occidentale. All’idea di Rivoluzione e allo “spirito di modernità”, fondato sul primato del divenire e dunque sul mito della irreversibilità del progresso, Del Noce contrappone l’idea di Tradizione, fondata sulla filosofia del primato dell’Essere o della contemplazione, e inevitabilmente destinata, a suo avviso, a ritrovare Platone, così come la filosofia rivoluzionaria del primato del divenire ha la sua più coerente conclusione in Marx.
A differenza di Jean de Viguerie, che appartenne alla scuola contro-rivoluzionaria, Augusto Del Noce non si rifaceva ai grandi pensatori della Restaurazione francese, ma alla scuola italiana di Rosmini, e di Vico, il pensatore a cui avrebbe voluto dedicare l’ultimo libro, che la morte gli impedì di scrivere. Tuttavia, come Viguerie, anche Del Noce vedeva nella Rivoluzione francese uno spartiacque culturale che aveva segnato il declino politico e culturale dell’Occidente cristiano (cfr. R. de Mattei, La critica alla Rivoluzione nel pensiero di Augusto Del Noce, Le Lettere, 2019). Il cardinale Carlo Maria Martini, nell’ultima intervista rilasciata a pochi giorni della sua morte, disse che «la Chiesa è rimasta indietro di duecento anni». Con questa citazione, il 21 dicembre 2019, Papa Francesco ha concluso il suo discorso di Natale alla Curia Romana. La tesi del cardinale Martini è che la Chiesa è rimasta indietro di due secoli perché non ha fatto la sua Rivoluzione francese e papa Francesco, erede del cardinale Martini, si propone di colmare questa distanza, portando a compimento il Concilio Vaticano II. Sia lo storico francese che il filosofo italiano erano invece convinti che l’abbraccio al mondo moderno proclamato dal Vaticano II fosse la principale causa del processo di autodemolizione della Chiesa. Il 13 maggio 1989, si svolse a Roma, a Palazzo Pallavicini, un importante convegno sulla Rivoluzione Francese. Fu in quell’occasione che Augusto Del Noce e Jean de Viguerie si incontrarono. Ciò che li univa era il rifiuto dell’utopia rivoluzionaria, l’amore per la Tradizione, la preoccupazione per la crisi della Chiesa, di cui avvertivano la portata. Augusto Del Noce morì pochi mesi dopo, mentre il muro di Berlino si sgretolava. Jean de Viguerie gli ha sopravvissuto di trent’anni, assistendo allo sgretolamento e al crollo dell’Occidente e della Chiesa stessa. Essi appartengono alla nostra memoria storica, quello che Viguerie ha definito «il passato che non muore».