L’Occidente ha riscoperto negli ultimi mesi l’esistenza del problema islam. Perfino Eugenio Scalfari, patriarca del progressismo radical-chic, nonché interlocutore privilegiato di Papa Francesco, si è allarmato e ha scritto che quella che l’Occidente ha di fronte «è una guerra di religione e di contrapposte civiltà» (Il califfato ci minaccia ma l’Europa pensa ad altro, “La Repubblica”, 24 agosto 2014).
Come in tutte le guerre anche in questa vincerà il più forte. Ma come tutti gli strateghi insegnano, la forza di un combattente prima di essere materiale è psicologica e morale: nasce dall’amore che si ha alla propria causa e dall’odio che si nutre verso il nemico. Oggi l’Occidente è destinato a soccombere perché ha il suo principale nemico nella propria identità. All’odio verso se stesso si accompagna, in Occidente, l’amore, o almeno una cieca attrazione, verso il proprio nemico, presentato come un liberatore. Chi non ricorda l’entusiasmo per le primavere arabe presentate come l’annuncio della conversione dell’islam alla democrazia?
Dalle dittature di Saddam e di Gheddafi non si è passati alla libertà e ai diritti dell’uomo, ma ad una situazione di caos in cui le fazioni religiose e politiche hanno preso il posto degli antichi despoti. In Nord Africa e Medio Oriente la distruzione degli Stati arabi ha portato ad un caos sanguinario fra i clan e le tribù sunnite e scite, arabe e curde, di cui fanno le spese soprattutto i cristiani e gli occidentali.
Su questo sfondo di rivoluzione tribale è nato l’Isis (Stato islamico dell’Iraq e della Siria, il cui acronimo è abbreviato in Is, Stato islamico), un movimento che, a differenza di Al-Quaeda, occupa un territorio preciso, ha un esercito vero e proprio, dispone di risorse finanziarie ufficiali, e soprattutto ha una mèta dichiarata: la ricostituzione del califfato. Chi si stupisce di questa rivendicazione o la considera un’espressione patologica e non fisiologica dell’islam, mostra di conoscere ben poco della religione di Maometto. Il califfato universale non è il sogno dei fondamentalisti, ma l’obiettivo di tutto l’islam, come ha spiegato fin dagli anni Ottanta Bat Ye’or, nei suoi libri, pubblicati in Italia da Lindau, da Eurabia (2007) a Verso il califfato universale (2009).
Il vero problema dell’Occidente si rivela oggi la misconoscenza della dottrina e della strategia dell’islam. Ad esempio, per Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio ed ex ministro del Governo italiano, la colpa di tutto quanto sta accadendo è la guerra di George Bush e di Tony Blair all’Iraq: «Il 2003 è stato un turning point per il cristianesimo iracheno e orientale, anzi di non ritorno. Cominciava lo scenario del XXI secolo: iperfondamentalismo totalitario, crisi degli stati forti, violenza diffusa…» (“Il Foglio”, 28 agosto 2014). Come se non ci fosse stato l’11 settembre 2001 e come se il terrorismo islamico fosse limitato all’area irachena e non si estendesse a tutto il mondo, dagli Urali all’Indonesia, dagli Stati Uniti al cuore dell’Africa.
Carlo Panella sullo stesso quotidiano, ha giustamente replicato a Riccardi: «Il Califfato – va capito – non è una buffonata che ha spazio a causa del 2003 di Bush. Né ha senso proporre quella data come origine del disastro dei cristiani, come tu fai. La prova? Boko Haram a mille e mille miglia di distanza, in una Nigeria in cui mai gli Usa hanno messo bocca, segue lo stesso percorso di morte – innanzitutto dei cristiani – e inneggia al suo califfo nero». D’altra parte, ha notato Mauro Faverzani su “Corrispondenza Romana” del 3 settembre, «quando il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha proclamato il “califfato”, su suo ordine i suoi seguaci hanno sventolato le bandiere nere del sedicente “Stato islamico” guidato da Abu Bakr al Baghdadi, ad indicare una continuità non solo strategica, bensì ideologica con quel gruppo. Ma non hanno esultato soltanto i suoi. Hanno esultato anche i mujaheddin di al Shabaab, “distintisi” nel decapitar cristiani in Kenya, ed hanno gioito i miliziani del Mujao, il “Movimento per l’unicità e la jihad in Africa Occidentale”. È ovvio, quindi, come non si tratti di episodi isolati, bensì di una “rete” del terrore».
L’immagine del giornalista americano James Foley inginocchiato accanto al suo carnefice qualche attimo prima della sua decapitazione, è il tragico ma eloquente simbolo di una sconfitta che, senza l’aiuto straordinario della grazia, è irrimediabilmente segnata. Sembra che Foley fosse un buon cattolico, ma la sua morte non è stata quella di un martire. Foley infatti non ha proclamato la propria fede, prima dell’esecuzione, ma ha pronunciato parole di apostasia non della propria religione, ma della propria patria e della propria civiltà: «Vorrei non essere stato Americano», ha mormorato, leggendo il messaggio probabilmente scritto dai suoi aguzzini. «Mi rivolgo ai miei amici, alla mia famiglia, ai miei cari affinché si ribellino contro il mio vero uccisore, il governo americano, perché quello che mi succederà è solo il risultato della sua noncuranza e dei suoi crimini».
Il drammatico video diffuso dall’Isis ricorda la dichiarazione di guerra ottomana recapitata nel 1683 all’Imperatore Leopoldo I d’Asburgo. Essa recitava: «Stiamo per colpire con la guerra il tuo paesello e lo calpesteremo […]. Ti ordiniamo di aspettarci a Vienna affinché possiamo decapitarti, tu infima fra le creature di Dio, come è solamente un giaurro (infedele)».
L’obiettivo finale però è quello di sempre: la capitale della Cristianità. Come ricorda Nicoletta Tiliacos, «nella sua predica dalla moschea di Mosul e diffusa in tutto il mondo, nel venerdì 4 luglio che ha dato l’avvio al Ramadan, Abu Bakr al Baghdadi al Qurashi al Husseini – ora autonominatosi califfo Ibrahim – ha chiamato i musulmani tutti a unirsi a lui: se lo faranno, ha promesso, l’islam arriverà fino a Roma e dominerà l’orbe terracqueo» (“Il Foglio”, 21 luglio 2014). Ma già lo aveva dichiarato lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, guida spirituale dei Fratelli Musulmani, in una fatwa promulgata il 27 febbraio 2005: «Nonostante il pessimismo tra le fila dei Musulmani, alla fine, l’Islam governerà e sarà il padrone di tutto il mondo. Uno dei segni della vittoria sarà che Roma verrà conquistata, l’Europa verrà occupata, i cristiani saranno sconfitti e i musulmani aumenteranno e diventeranno una forza che controllerà tutto il continente europeo».
Roma continua ad essere il cuore del mondo, il supremo obiettivo di chi odia la civiltà cristiana e l’unica fonte di una possibile rinascita. Perché in questo ha ragione Scalfari: la guerra è religiosa. Ma c’è un unico Dio, un’unica vera religione, una sola fede, come la Madonna ricordò a suor Lucia di Fatima, la sera del 3 gennaio 1944, esortandola a far conoscere il Terzo Segreto. Lucia racconta di aver sentito «nel palpitare accelerato del cuore e nel mio spirito una voce leggera che diceva:‘nel tempo, una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa, Santa, Cattolica, Apostolica. Nell’eternità il Cielo!’. Questa parola ‘Cielo’ riempì il mio cuore di pace e felicità, in tal modo che, quasi senza rendermi conto, continuai a ripetermi per molto tempo: il cielo, il cielo!». Questo Cielo che si conquista sulla terra lottando in difesa della propria Fede e della propria Civiltà.