La guerra è sempre ingiusta?

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Cristiana de Magistris ha ben spiegato su Corrispondenza Romana del 16 novembre (https://www.corrispondenzaromana.it/preghiera-per-la-pace/), in cosa consiste la pace cristiana. L’imperativo morale della Chiesa è la pace, che è un precetto di diritto divino. La pace, tuttavia, non è la semplice assenza della guerra ma è fondata sull’ordine stabilito da Dio, e solo lo Stato che promuove, o almeno rispetta, quest’ordine, può godere della tranquillità politica e sociale.

Per ottenere la pace non serve dunque richiamarsi a un’idea puramente umana di fratellanza tra gli uomini. Spesso, anzi, si ottiene con ciò il risultato contrario. Il Novecento, il secolo più cruento della storia, si aprì all’insegna dei miti della pace e della fratellanza universale, ma già Benedetto XV, mentre divampava la Prima guerra mondiale, ammoniva: «Mai forse più di oggi si parlò di umana fratellanza (…) La verità è però questa, che mai tanto si disconobbe la umana fratellanza quanto ai giorni che corrono» (Enciclica Ad Beatissimi, del 1° novembre 1914). Né basta affidare la realizzazione della pace a strumenti umani per ottenerla. Pio XI, nell’Enciclica Caritate Christi compulsi del 3 maggio 1932, avvertiva che a nulla servono «i trattati di pace, né i patti più solenni, né i convegni o le conferenze internazionali, né gli sforzi più nobili e disinteressati di qualunque uomo di Stato, se prima non siano riconosciuti i sacri diritti della legge naturale e divina».

 Se tutti sono fratelli tra loro, si chiede san Giacomo, perché le guerre e le liti? A questa domanda lo stesso Apostolo risponde che «le guerre e le liti provengono dalle concupiscenze che agitano le membra degli uomini» (Gc 4, 1). Ogni disordine, individuale e collettivo, proviene dalle passioni disordinate, che includono tutti gli impulsi al peccato esistenti nell’uomo in conseguenza del Peccato originale e della triplice concupiscenza denunciata dal Vangelo: quella della carne, quella degli occhi e la superbia della vita (1 Gv 2, 16). Queste tendenze profonde sono la radice delle guerre, delle rivoluzioni e di ogni cataclisma sociale. Il Magistero della Chiesa insegna che le cause profonde e vere della guerra non sono di ordine politico od economico, ma spirituale e morale e risalgono alla violazione dell’ordine naturale e cristiano: in una parola all’abbandono della legge di Dio nella vita individuale, nazionale e internazionale.

  Pio XII, nella enciclica Summi Pontificatus del 20 ottobre 1939, insegna che «la radice profonda e ultima dei mali che deploriamo nella società moderna, è la negazione e il rifiuto di una norma di moralità universale, sia della vita individuale sia della vita sociale e delle relazioni internazionali; il misconoscimento cioè, così diffuso nei nostri tempi, e l’oblio della stessa legge naturale, la quale trova il suo fondamento in Dio, creatore onnipotente e padre di tutti, supremo ed assoluto legislatore, onnisciente e giusto vindice delle azioni umane».  La pace, ribadisce Giovanni Paolo II, ha il suo fondamento nell’«ordine razionale e morale» della società, fondato su Dio (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 1982).

Il relativismo, che si oppone alla legge naturale e divina, è causa di ogni tensione e rivolta sociale. Secondo la visione relativista oggi dominante non esiste infatti una norma morale universale, ma unica legge è la autodeterminazione degli individui e degli Stati. Una volta scardinato l’ordine naturale, alla legge del diritto si sostituisce quella della forza, o meglio quella della violenza, perché è proprio il rispetto o la trasgressione del diritto a distinguere tra forza e violenza.

L’uso della forza può essere legittimo, se il diritto lo impone. Non ogni guerra è in sé ingiusta, spiega il teologo Francisco Suarez (1548-1617), il “Dottore Esimio”, che a questo tema dedica la disputatio XIII del suo Trattato De Charitate. Che la guerra, scrive Suarez, «non è in sé intrinsecamente cattiva, né è proibita ai cristiani, è una verità di fede contenuta nella Sacra Scrittura, poiché nell’Antico Testamento sono lodate le guerre intraprese da uomini molto santi: ‘O Abramo! Benedetto sei da Dio altissimo che ha creato il Cielo e la Terra; e sia benedetto Dio Altissimo per la cui protezione i nemici sono caduti nelle tue mani’ (Gen. 14, 19-20). Passi analoghi si leggono su Mosé, Giosué, Sansone, Gedeone, Davide, i Maccabei e altri, ai quali molte volte Dio comandava di far guerra contro i nemici degli ebrei; e S. Paolo dice che questi santi hanno conquistato imperi in favore della Fede. Lo stesso è confermato da altre testimonianze dei santi Padri citati da Graziano, come pure da sant’Ambrogio in vari capitoli del suo libro sui doveri». 

La guerra difensiva, distingue il teologo, è quella che respinge un’ingiusta aggressione mentre questa viene inferta. La guerra aggressiva o offensiva è invece quella che si intraprende per riparare un’ingiustizia ormai compiuta. Il criterio della distinzione non riguarda la giustizia o l’ingiustizia della guerra, ma l’iniziativa del ricorso all’uso della forza: nel primo caso l’iniziativa è di chi commette l’ingiustizia, e chi fa la guerra è costretto a difendersi; nel secondo l’iniziativa è presa da chi ha subito già l’ingiustizia e, dopo aver usato tutti i mezzi per averne riparazione, ricorre alla forza. La guerra aggressiva non è dunque per sé necessariamente cattiva, «ma può essere onesta e necessaria». A condizione di ricorrervi solo quando nessun altro mezzo può essere esperito e che l’ingiuria che si vuol riparare sia così grave da richiedere il ricorso a un mezzo tanto gravido di conseguenze.

La Chiesa ha costantemente insegnato la legittimità di una guerra condotta per giusta causa. La sua dottrina tradizionale può riassumersi in questi termini: la guerra in sé stessa, in quanto uso della forza, non è intrinsecamente buona né intrinsecamente cattiva: diventa buona o cattiva, giusta o ingiusta secondo i fini che si propone di conseguire. La guerra è illecita per chi la fa senza giusta causa ed in modo indebito, ma è lecita, anzi, in certi casi, doverosa, per chi la fa con giusta causa e nel debito modo. In particolare, la guerra difensiva contro un aggressore ingiusto è sempre lecita perché i popoli hanno, come gli individui, il diritto naturale alla legittima difesa. 

Oggi, di fronte alla realtà drammatica di un conflitto bellico che insanguina l’Europa, il punto di fondo è di stabilire se esistono beni spirituali e morali di valore tale da meritare di essere difesi anche a costo di subire gli orrori della guerra moderna. Posto di fronte alla scelta tra beni legittimi, ma di qualità diversa, quali il benessere materiale del popolo o il suo patrimonio morale, l’uomo di governo dovrà sempre anteporre i beni superiori a quelli inferiori, anche a costo di sacrificare questi ultimi in una guerra. Per le anime cristiane, infatti, la guerra e la morte non sono necessariamente il male maggiore. La guerra, come ha osservato Romano Amerio, è l’estremo dei mali solo per chi adotta la veduta irreligiosa che ravvisa il bene supremo nella vita, e non nel fine trascendente alla vita (Iota unum, Ricciardi, Milano-Napoli 1985, p. 379). Per chi al contrario afferma il primato della vita dello spirito su quella della materia, la proporzione tra i mali causati dalla guerra e il bene che con essa si intende proteggere sarà sempre in favore del bene, purché il diritto rivendicato e offeso sia importante. 

Il cristiano può tollerare l’esistenza di un male, ma non lo desidera, né lo compie neppure per ragioni gravi, per ottenere il bene. Nel caso della guerra, il fine resta il bene della pace; i mezzi che egli sceglierà per raggiungere questo fine, anche se dovessero passare attraverso le armi, dovranno essere sempre buoni e giusti. Solo in questo caso una guerra potrà dirsi giusta e aspirare a restaurare, con la giustizia, la pace: opus iustitiae pax (Is 32, 17).

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