Cari amici,
Abbiamo lasciato alle nostre spalle la Basilica di San Giovanni, cattedrale di Roma e del mondo, centro, con la Basilica di San Pietro, del cristianesimo universale.
Di fronte a noi si apre la via Appia. via sacra, costellata di catacombe, di tombe di martiri, che percorreremo durante la notte per giungere alle luci dell’alba, al Santuario del Divino Amore, uno dei santuari mariani più cari alla città di Roma.
Tutto intorno a noi parla delle nostre memorie cristiane, e soprattutto di quelle dei primi secoli della Chiesa.
I primi secoli del cristianesimo furono un’era di persecuzioni: in odio alla loro fede i cristiani furono crocifissi, dati in pasto alle fiere, arsi su graticole.
Ma questo sangue versato fruttificò. La Chiesa permeò del suo influsso vitale la società, nacque la civiltà cristiana.
Tutto ciò che di bello e di grande ancora oggi ci circonda è espressione di questa civiltà. Essa ha in Roma, da duemila anni, il suo centro.
Questa civiltà oggi è in crisi ed offre lo spettacolo di una città in rovina.
L’immagine di una città in rovina attraversata dal Papa è al centro del Terzo segreto di Fatima rivelato lunedì 26 giugno, all’inizio di questa settimana.
La città in rovina è di fronte a noi.
La pratica su larghissima scala in Occidente dell’aborto e della contraccezione con le loro catastrofiche conseguenze, il dilagare della droga, la minaccia dell’eutanasia, le tendenze consumistiche ed edonistiche imperanti, la promiscuità sessuale, la pornografia, la pubblicità oscena e spesso blasfema, sono gli elementi più appariscenti di questa crisi profonda che tocca l’uomo occidentale in tutte le facoltà della sua anima.
L’elemento dominante del panorama mondiale è oggi il caos, la confusione suprema, il disordine radicale. Un impulso all’anarchia totale, che abbraccia ogni campo dell’agire umano, non risparmia alcun popolo o regione della terra e va inteso nel suo significato più profondo di odio metafisico verso l’unico vero ordine tra gli uomini, che è la Civiltà cristiana.
Quest’orizzonte di dissoluzione è il frutto di un processo rivoluzionario che negli ultimi secoli, attraverso un lungo sistema di cause ed effetti, ha prodotto crisi successive, fino ad arrivare al suo tragico epilogo. Alla visione cristiana del mondo, fondata sul sacrificio della Croce, se ne è contrapposta un’altra, oggi dominante, fondata sul piacere sregolato: essa ha le sue radici nel neo-paganesimo rinascimentale, nella dissoluzione illuministica della morale, nel materialismo storico e dialettico degli ultimi due secoli, secondo un processo rivoluzionario che ha avuto nel ventesimo secolo una fase culminante nella Rivoluzione comunista di Ottobre.
Il cosiddetto Gay Pride, il raduno omosessualista che oggi si apre a Roma, esprime un aspetto parossistico di questo processo di degradazione culturale e morale. Esso si presenta come una delle più clamorose contestazioni della storia contro la Chiesa e i princìpi dell’ordine naturale e cristiano.
Il Giubileo cristiano dell’anno 2000 diviene il teatro di una sfida, di una provocazione, lanciata frontalmente contro la Chiesa, il Papa, la città di Roma, centro del cristianesimo e patria del diritto universale.
Dobbiamo capire il significato profondo di questo evento.
Il problema sul tappeto non riguarda la libertà o meno di praticare l’omosessualità. Questa libertà purtroppo già esiste e rientra nelle molteplici manifestazioni odierne della crisi morale appena denunciata. Si tratta invece della pretesa di legalizzare l’omosessualità, di promuoverla come un valore e, successivamente di imporla a tutta la società.
La pratica dell’omosessualità assurge a teoria e a movimento culturale: diviene omosessualismo.
Ciò che, in una parola, oggi abbiamo di fronte non è solo il fatto di un disordine morale, ma quel che è ben più grave, l’elaborazione teorica di questo disordine, la rivendicazione culturale di questa pratica immorale.
L’omosessualità è una gravissima violazione dell’ordine naturale, definita abominevole dalla Sacra Scrittura e dalle leggi civili dell’Occidente cristiano. L’omosessualismo è l’ideologia di chi la eleva a princi¬pio e modello di comportamento.
Ciò significa nella pratica che non basta tollerare la pratica dell’omosessualità, ma bisogna arrivare a reprimere ogni espressione culturale, sociale e morale di condanna di questo vizio. Chiunque intenda prendere le distanze, sotto il profilo sociale e morale, dall’omosessualità, merita di essere riprovato e represso.
La parola d’ordine è quella del passaggio dalla clandestinità alla visibilità, dal complesso di colpa all’orgoglio, dalle “catacombe della vergogna” omosessuali alla omosessualizzazione della società, seguendo un itinerario analogo e contrapposto a quello che portò i cristiani, dopo le persecuzioni, a costruire la grande civiltà cristiana che è alle nostre spalle.
Usciti dalle “catacombe”, gli omosessualisti vogliono ricacciarvi i cattolici. L’intolleranza anticristiana che li anima spiega perché il Colosseo è il loro simbolo.
Per gli omosessualisti esiste un solo peccato che grida vendetta al cospetto del mondo la “omofobia”, cioè l’atteggiamento di chi considera l’omosessualità come una piaga morale della società. Per essi, l’omofobia deve essere trasformata in reato e duramente sanzionata.
Il fine del raduno omosessualista è quello di esercitare una pressione propagandistica perché le leggi europee e mondiali introducano un nuovo crimine, un nuovo reato, quello di omofobia: il delitto di chi crede nella famiglia naturale e cristiana, di chi crede nell’ordine naturale e cristiano. Gli “omofobi” non meritano altro che i gladiatori e le fiere.
In Italia, un disegno di legge è già pronto in Parlamento.
L’on. D’Alema, allora presidente del Consiglio dei ministri, ha presentato il 23 novembre scorso un progetto di legge, intitolato Misure contro le discriminazioni e per la promozione di pari opportunità, che con il pretesto di impedire presunte discriminazioni, non solo promuove pubblicamente l’omosessualità, ma conculca la libertà di espressione dei cattolici e di tutti coloro che credono nei princìpi naturali e cristiani, proibendo, sotto minaccia di pesanti sanzioni penali, qualsiasi critica delle deviazioni morali che dovrebbero essere tutelate dal nostro ordinamento. Dopo la presentazione del disegno di legge, il 16 dicembre, l’allora governo D’Alema insediò una “Commissione per la Parità dei Diritti e delle Opportunità”, con la funzione di pilotare l’applicazione della legge e ne affidò la presidenza al Presidente Onorario dell’Arcigay Franco Grillini.
Se tale progetto fosse approvato la missione evangelizzatrice della Chiesa diverrebbe “incitazione all’odio” paragonabile al razzismo.
L’accusa di “fanatismo omofobo” sarebbe lanciata contro chiunque affermasse, come ha fatto Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor, che la Chiesa cattolica, “per volontà di Cristo è maestra di verità” e la legge divina che essa annuncia è “la norma universale e oggettiva della moralità”.
Gli omosessuali, si dice calano a Roma per rivendicare i loro diritti.
Noi crediamo nell’esistenza di diritti fondamentali e inviolabili della persona umana.
Il primo di questi diritti, non il più importante in assoluto, ma cronologicamente il primo, è il diritto alla vita.
Vorremo chiedere ai manifestanti del Gay Pride che cosa pensano di questo diritto, il diritto alla vita del bambino innocente, calpestato dalle legislazioni abortiste di oggi.
Noi crediamo nel diritto dell’innocente alla vita, dal primo all’ultimo momento.
Crediamo nel diritto di ogni uomo a nascere, crescere, vivere in una famiglia.
Crediamo nei diritti delle famiglie naturali e cristiane: il diritto ad un’educazione cristiana, ad una scuola libera, il diritto al lavoro, il diritto alla proprietà, il diritto a ricevere dallo Stato la tutela dei beni morali e spirituali cui aspiriamo, perché non solo di pane vive l’uomo.
Questi sono i diritti in cui crediamo, i diritti che rivendichiamo, i diritti che riconosciamo ad ogni persona umana, compresi gli omosessuali.
Questi diritti sono inerenti alla persona umana in quanto tale, in ogni tempo e in ogni luogo e non possono essere negati o espropriati da nessuno.
Gli omosessuali sono persone umane come noi, figli di Dio come noi, e in quanto figli di Dio nostri fratelli, con i nostri stessi diritti.
Anch’essi come noi hanno il diritto al matrimonio e alla famiglia. Noi difendiamo questi nostri e loro diritti.
Noi non riconosciamo il diritto all’omosessualità semplicemente perché questo diritto non esiste.
Il diritto all’omosessualità non esiste e non può esistere perché l’omosessualità è un atto intrinsecamente disordinato che non può pretendere, in quanto tale, alcuna tutela giuridica.
Come può del resto invocare diritti chi nega l’esistenza di una legge naturale assoluta e valida per tutti gli uomini, chi fa sua la filosofia dell’edonismo e del relativismo assoluto?
Se il bene e il male non esistono, se il relativismo è assoluto, non esistono i diritti, ma vige la legge del più forte.
I manifestanti del Gay Pride proclamano il relativismo e il nichilismo assoluto e vogliono imporci non con la ragione, ma con la forza, con la forza dei gruppi finanziari e mediatici che li sostengono, la loro visione di vita.
Tutti i principali giornali italiani, con qualche rara eccezione, presentano gli omosessuali come una categoria discriminata ed emarginata dalla società.
Io domando: chi è oggi discriminato ed emarginato dalla società?§
Per chi sono oggi le luci della ribalta?
Guardate le prime pagine dei giornali di oggi, aprite le radio e le televisioni, ascoltate le parole degli uomini politici e degli intellettuali italiani e stranieri.
Qual’è la visione della morale che oggi permea progressivamente la società grazie all’aiuto di tutti i moderni strumenti culturali come radio, televisione, cinema, libri, giornali?
Festival cinematografici, giornate di studio, incontri e manifestazioni di ogni genere vengono dedicate ad esaltare l’unione contro natura sempre presentata come atto di “liberazione” e “realizzazione” umana superiore all’unione matrimoniale e naturale. Stilisti, top model, cantanti esaltano la condizione “gay” come segno di appartenenza a un’elite.
Noi, non loro, siamo gli aggrediti. Noi, non loro, siamo gli emarginati e i discriminati.
Noi reagiamo perché ci sentiamo aggrediti.
Quando si viene ingiustamente aggrediti la difesa è legittima e necessaria. L’assenza di reazione denota la mancanza di vitalità o la grave malattia di un corpo sociale. Il rifiuto di molti cattolici a difendersi nasce da un male dell’anima, da un sentimento di inferiorità nei confronti del nemico, tanto più profondo quanto privo di reali ragioni.
Noi difendiamo questa sera, con la nostra voce, con la nostra protesta, la civiltà cristiana aggredita e l’onore della Chiesa oltraggiato.
Nel silenzio di questa notte la nostra vuole essere innanzitutto una voce umile e supplice che si leva di fronte a Dio e alla storia per chiedere perdono di tutti gli oltraggi, le bestemmie e i sacrilegi che saranno compiuti durante il sabba di questa settimana.
E’ una voce dunque di riparazione e di penitenza.
Penitenza, penitenza, penitenza!
Questo triplice grido dell’Angelo che brandisce una spada di fuoco e indica con la sua mano destra la terra, costituisce il fulcro del terzo segreto di Fatima appena rivelato.
Le parole dell’Angelo esprimono la concezione cristiana e tradizionale del mondo, fondata su quello spirito di sacrificio che trae dal Mistero della Croce il suo profondo significato teologico e morale.
Di questa visione del mondo noi vogliamo essere questa notte l’eco. La nostra fiaccolata vuole trasmettere innanzitutto un messaggio di penitenza.
Ma la penitenza non consiste solo o tanto nei digiuni, nei pellegrinaggi e in altre forme di rinuncia personale, pur necessarie; c’è una forma suprema di penitenza che è la lotta: una penitenza che è la battaglia di ogni giorno di chi combatte per essere coerente, in pubblico e in privato, con la propria visione del mondo: una lotta che ci ricorda che esiste il bene e il male e che non si può venire a compromessi con chi vuole distruggere la nostra cultura e la nostra identità.
In questo senso la nostra è una fiaccolata di lotta. Ogni lotta tende alla vittoria. La filosofia del Gay Pride è in sé distruttiva e infeconda. E’ una cultura di morte che brucia tutto ciò che tocca come un micidiale acido corrosivo ed è condannata alla sconfitta.
Noi abbiamo la certezza razionale e morale della nostra vittoria, che nasce grande nella vitalità e nella forza del messaggio cristiano. Questa fiducia anima la nostra fiaccolata che è stata in questo senso ben definita come fiaccolata della speranza.
La nostra non è una visione del mondo cupa e angosciosa, perché nel fondo dei nostri cuori c’è gioia, c’è tranquillità, c’è speranza. Ciò che è cupo, ciò che è lugubre, ciò che è disperato, è il carnevale che si svolgerà a Roma nella settimana che si apre.
Fiaccolata di penitenza, fiaccolata di lotta, fiaccolata di speranza.
Con questo spirito, con questa coscienza tranquilla, con la gioia nell’anima di chi questa sera ha esercitato un diritto e compiuto un dovere, torneremo ora alle nostre case, o imboccheremo la via del Divino Amore, santuario che nel suo titolo ci ricorda che esiste un solo vero autentico amore nel mondo, che è per definizione puro e sacro, affidando con immensa fiducia alla Madonna del vero amore noi stessi, le nostre famiglie, la città di Roma, la Chiesa, la Civiltà cristiana.