Prigožin, Putin e l’Occidente cristiano

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Lo schianto dell’aereo su cui il 23 agosto viaggiava il leader della brigata Wagner Evgenij Prigožin ha suscitato nei mass media di tutto il mondo un clamore non minore del suo tentativo di ribellione a Putin avvenuto esattamente due mesi prima, il 24 giugno 2023. Sia nel primo caso che nell’altro sono state avanzate le ipotesi più cervellotiche per spiegare l’evento. C’è chi attribuisce l’attentato non ai russi ma agli ucraini o gli americani; c’è chi è convinto che sull’aereo ci fosse un sosia e Prigožin sia ancora in Africa; c’è chi nega l’attentato, affermando che sarebbe stata tutta una messinscena per permettere a Prigožin di scomparire e, allo stesso tempo, a Putin di dimostrare la sua forza. L’ipotesi che Prigožin sia stato fatto assassinare per vendetta da Putin sembra troppo ovvia e normale, in un mondo in cui le narrazioni si sovrappongono alla realtà, creando un clima di oscura incertezza, in cui nulla può essere affermato in maniera categorica e chiara. Siamo talmente abituati all’“anormalità” che una lettura “normale” degli avvenimenti ci sembra banale, anche perché questi eventi si presentano a noi in maniera spesso contraddittoria e confusa. Oggi, in Russia e nel mondo, l’ordine logico è capovolto e trionfa quell’irrazionalità che riscontriamo nella sfida di Prigožin a Putin, in giugno, e nella fiducia a lui accordata in agosto, ma anche nella maniera plateale con cui Putin ha voluto punire il suo oppositore. Così facendo Putin non solo ha confermato di essere uno spietato dittatore di fronte all’opinione pubblica occidentale, ma ha anche infranto le regole della malavita alla quale appartiene.

In Russia è in corso, infatti, un conflitto che uno studioso come don Stefano Caprio definisce la guerra dei gopniki, i “banditi di strada”, secondo un gergo risalente alla mafia degli anni sovietici. La malavita autorizza l’assassinio, ma non la violazione della parola data, che è considerata sacra. E secondo un’altra politologa, Nona Mikhelidze, la razborka (“guerra tra gang”), di cui Putin è uno dei protagonisti, aveva deciso che Prigožin doveva essere perdonato. Il capo del Cremlino, a quanto sembra, non ha mantenuto la parola infrangendo le regole del gioco. E poiché la Russia si regge sulle leggi della malavita, ciò creerà nuovo caos e conflitti nel paese.

Putin da parte sua aveva la necessità di inviare un messaggio non tanto all’Occidente, quanto al vertice dei paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che si è aperto a Johannesburg il 23 agosto, giorno dell’attentato, per decidere chi ammettere al proprio club. Il Brics è un organismo internazionale, dominato da Russia e Cina, che si propone di costruire una forza economica e politica antagonista dell’Occidente. Putin, che non ha potuto partecipare di persona al vertice, a causa del mandato di cattura spiccato nei suoi riguardi dalla Corte Penale internazionale, ha inviato un messaggio in cui definisce la guerra in Ucraina come un’espressione di neo-colonialismo, riferendosi con questo termine all’Occidente e non all’invasione russa di quel paese. La logica anche qui sembra capovolta. Daniel Hannan ricorda, sul Telegraph del 26 agosto, che nel 1916 Vladimir Lenin scrisse il suo celebre opuscolo L’imperialismo fase suprema del capitalismo, in cui esponeva una visione socio-politica a cui il gruppo Brics sembra ispirarsi. L’imperialismo, per Lenin, sarebbe il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, in cui è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali e in cui l’intera superficie terrestre è divisa tra i più grandi paesi capitalistici. La filosofia politica di Lenin, che riassumeva e divulgava quella di Marx, si è diffusa nel mondo ed è fatta propria da tutti coloro che, in Russia e nel mondo, considerano Vladimir Putin l’eroe della lotta contro l’Occidente globalista e imperialista.

Il crollo politico, economico e militare dell’Occidente sarebbe però una catastrofe superiore alla caduta dell’Impero romano, perché allora la Chiesa cristianizzò i popoli barbari, dando origine alla civiltà cristiana medioevale. Oggi gli stessi vertici della Chiesa, contribuiscono all’opera di decristianizzazione della società e ciò che si profila all’orizzonte, Eurabia od Eurasia che sia, vedrebbe la fine degli Stati nazionali, la scomparsa della Chiesa cattolica, l’estirpazione di ogni traccia di civiltà e l’immersione del mondo in una barbarie più feroce di quante mai ne abbia conosciuta la storia.

E’ questa la ragione per cui bisogna rifiutare gli appelli a un nuovo ordine mondiale di Putin e di Xi Jinping, che non hanno come obiettivo un mondo multipolare, ma l’egemonia russo-cinese su un Occidente culturalmente e materialmente disintegrato. I peggiori nemici dell’Occidente sono coloro che cedono a queste lusinghe, vittime di una “guerra ibrida”, che fa perdere il senso della realtà.

L’Occidente non è un’élite globalista o una lobby anglofona, ma è una civiltà radicata nello spazio e nel tempo, diversa da tutte le altre per la sua vocazione universale. I modelli dell’Occidente e dell’Europa sono i suoi fondatori: san Luigi re di Francia, san Ferdinando di Castiglia, santa Elisabetta di Portogallo, sant’Edoardo d’Inghilterra, santa Margherita di Scozia, sant’Enrico Imperatore, santo Stefano e santa Elisabetta d’Ungheria, san Venceslao di Boemia, sant’Erik di Svezia, sant’Olaf di Norvegia, san Vladimiro di Kiev e tanti altri principi cristiani, che cercarono il bene non soltanto materiale, ma anche soprannaturale dei loro popoli, sottomettendosi alle leggi di Dio e della Chiesa. Tutta la società medioevale si conformava armonicamente all’ordine naturale disposto da Dio nella creazione dell’universo e all’ordine soprannaturale inaugurato con la Redenzione e ispirato dalla Chiesa. Fu questa la grande civiltà che emerse con lentezza, ma vigorosamente, dalla disgregazione dell’età barbarica sotto l’influsso delle energie naturali e soprannaturali dei popoli battezzati e ordinati a Cristo. L’Occidente era Occidente prima della Rivoluzione che dall’epoca dell’umanesimo e del protestantesimo ha iniziato a corromperlo e non va confuso con la sua decadenza, con la sua crisi, con la sua malattia culturale e morale. L’Occidente è malato, ma non è il male, e può guarire dalla condizione patologica in cui si trova. La guarigione sta nel ritorno a quello stato di salute che ha conosciuto all’alba della sua storia, quando è nata l’Europa cristiana. A Dio tutto è possibile (Mt 19, 26). E nei periodi di caos della storia, bastano pochi uomini che corrispondano pienamente all’azione della grazia divina, perché la rinascita di una civiltà che non è mai tramontata, si trasformi da sogno in realtà.

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