Professione delle verità immutabili sul matrimonio

moro

L’anno 2018 si è aperto con un raggio di luce dottrinale, che ha illuminato il buio della confusione, regnante soprattutto all’interno della Chiesa.

Sette vescovi hanno sottoscritto la Professione delle verità immutabili riguardo al matrimonio sacramentale del 31 dicembre 2017, dicendosi costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità riguardo all’indissolubilità del matrimonio. Ai primi tre firmatari, i vescovi del Kazakistan Tomasz Peta, arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, JanPawelLenga, arcivescovo-vescovo emerito di Karaganda e Athanasius Schneider, vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana,si sono aggiunti il cardinale JaniszPujats,  arcivescovo emerito di Riga, e i vescovi Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, e mons. Andreas Laun, vescovo ausiliare emerito di Salisburgo.

Il documento si riferisce a ciò che è accaduto dopo la pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amorislaetitia (2016). Vari vescovi hanno emanato a livello locale, regionale e nazionale norme applicative del documento pontificio in cui si autorizzano i “divorziati risposati” a ricevere il Sacramento della Penitenza e della Santa Comunione, pur continuando a vivere abitualmente e intenzionalmente more uxorio con una persona che non è il loro coniuge legittimo. «Tali norme pastorali hanno ricevuto l’approvazione da parte di diverse autorità gerarchiche. Alcune di queste norme hanno ricevuto l’approvazione persino da parte della suprema autorità della Chiesa. La diffusione di tali norme pastorali, ecclesiasticamente approvate, ha causato una notevole e sempre più crescente confusione tra i fedeli e il clero, una confusione che tocca le centrali manifestazioni della vita della Chiesa, quali sono il matrimonio sacramentale con la famiglia, la chiesa domestica e il sacramento della Santissima Eucaristia».

I firmatari della professione di fede ribadiscono che: «L’ammissione dei fedeli cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, che è la massima espressione dell’unità di Cristo-Sposo con la Sua Chiesa, significa nella pratica un modo d’approvazione o di legittimazione del divorzio, e in questo senso una specie di introduzione del divorzio nella vita della Chiesa» (…)  «quando la Chiesa, invece, dovrebbe essere, a causa della sua fedeltà incondizionata alla dottrina di Cristo, un baluardo e un inconfondibile segno di contraddizione contro la piaga ogni giorno più dilagante del divorzio nella società civile». Tale pratica rappresenta perciò «un’alterazione sostanziale della bimillenaria disciplina sacramentale della Chiesa», che «comporterà col tempo anche un’alterazione nella corrispondente dottrina».

I firmatari della dichiarazione si dicono dunque «costretti in coscienza a professare, di fronte all’attuale dilagante confusione, l’immutabile verità e l’altrettanto immutabile disciplina sacramentale riguardo all’indissolubilità del matrimonio secondo l’insegnamento bimillenario ed inalterato del Magistero della Chiesa».

In questo spirito essi reiterano:

– I rapporti sessuali tra persone che non siano legate tra loro con il vincolo di un matrimonio valido – ciò che si verifica nel caso dei cosiddetti “divorziati risposati”– sono sempre contrari alla volontà di Dio e costituiscono una grave offesa a Dio.

– Nessuna circostanza o finalità, neanche una possibile imputabilità o colpevolezza diminuita, possono rendere tali relazioni sessuali una realtà morale positiva e gradevole a Dio. Lo stesso vale per gli altri precetti negativi dei Dieci Comandamenti di Dio. Poiché“esistono atti che, per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia, 17).

– La Chiesa non possiede il carisma infallibile di giudicare lo stato di grazia interiore di un fedele (cf. Concilio di Trento, sess. 24, cap. 1). La non-ammissione alla Santa Comunione dei cosiddetti “divorziati risposati” non significa quindi un giudizio sul loro stato di grazia dinanzi a Dio, ma un giudizio sul carattere visibile, pubblico e oggettivo della loro situazione. A causa della natura visibile dei Sacramenti e della stessa Chiesa, la ricezione dei Sacramenti dipende necessariamente dalla corrispondente situazione visibile e oggettiva dei fedeli.

– Non è moralmente lecito intrattenere rapporti sessuali con una persona che non sia il proprio coniuge legittimo per evitare un altro supposto peccato. Poiché la Parola di Dio ci insegna, che non è lecito “fare il male affinché venga il bene”(Rom. 3, 8).

– L’ammissione di tali persone alla Santa Comunione può essere permessa solamente quando loro, con l’aiuto della grazia di Dio ed un paziente ed individuale accompagnamento pastorale, facciano un sincero proposito di cessare d’ora in poi l’abitudine di tali rapporti sessuali e di evitare lo scandalo. In ciò si è espresso sempre nella Chiesa il vero discernimento e l’autentico accompagnamento pastorale.

– Le persone che hanno abituali rapporti sessuali non coniugali violano con tale stile di vita il loro indissolubile vincolo nuziale sacramentale nei confronti del loro coniuge legittimo. Per questa ragione essi non sono capaci di partecipare “nello Spirito e nella Verità” (cf. Giov. 4, 23) alla cena nuziale eucaristica di Cristo, tenendo conto anche delle parole del rito della Santa Comunione: “Beati gli invitati alla cena nuziale dell’Agnello!” (Ap. 19, 9).

– L’adempimento della volontà di Dio, rivelata nei Suoi Dieci Comandamenti e nel Suo esplicito e assoluto divieto del divorzio, costituisce il vero bene spirituale delle persone qui in terra e le condurrà alla vera gioia dell’amore nella salvezza della vita eterna.

I sette vescovi richiamano quindi la loro responsabilità di pastori e il loro dovere dinanzi ai fedeli «che aspettano da noi una professione pubblica e inequivocabile della verità e della disciplina immutabile della Chiesa riguardo all’indissolubilità del matrimonio».

«Per questa ragione –concludono– non ci è permesso tacere. Affermiamo perciò nello spirito di san Giovanni Battista, di san Giovanni Fisher, di san Tommaso More, della beata Laura Vicuña e di numerosi conosciuti e sconosciuti confessori e martiri dell’indissolubilità del matrimonio: Non è lecito (non licet) giustificare, approvare o legittimare né direttamente, né indirettamente il divorzio e una relazione sessuale stabile non coniugale tramite la disciplina sacramentale dell’ammissione dei cosiddetti “divorziati risposati” alla Santa Comunione, trattandosi in questo caso di una disciplina aliena rispetto a tutta la Tradizione della fede cattolica e apostolica. Facendo questa pubblica professione dinanzi alla nostra coscienza e dinanzi a Dio che ci giudicherà, siamo sinceramente convinti di aver prestato con ciò un servizio di carità nella verità alla Chiesa dei nostri giorni e al Sommo Pontefice, Successore di san Pietro e Vicario di Cristo sulla terra».

La coraggiosa presa di posizione dei sette vescovi fa seguito ad altre importanti iniziative, come la storica Promessa di fedeltà all’insegnamento autentico della Chiesa, diffusa con il titolo Fedeli alla vera dottrina, non ai pastori che sbagliano, dai leader dei principali movimenti pro-vita e pro-famiglia internazionali, per esprimere la loro resistenza di fronte a parole e ad atti di molti Pastori, che contraddicono l’insegnamento della Chiesa.

 

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